Conosciuto anche come Mystery to Iunakare, questo drama giapponese del 2022 è un parziale adattamento del manga Mystery to Iunakare di Tamura Yumi. Sono 12 episodi da poco meno di un’ora, di cui gli ultimi due sono due extra che si collocano all’interno della serie principale.
La prima cosa da sapere, prima di visionare il titolo, è che il mistero principale non viene completamente chiarito: la scena finale ci dà a intendere che c’è un ulteriore strato di cipolla da pelare, per così dire. Apparentemente, il film Don't Call It Mystery: The Movie, etichettato come sequel e che si presume sarà disponibile nell’autunno 2023, non verterà su queste indagini. Il sunto disponibile non ne fa menzione e, soprattutto, su Mydramalist la lista degli attori, forse ancora parziale, per il momento non vede Nagayama Eita nel cast.
Ad ogni modo, i curiosi possono aspettare la pubblicazione in Italia del manga, che potrebbe arrivare presto. Incrociamo le dita. Rimanere in sospeso non è mai una bella cosa.
Protagonista assoluto del drama è Totono Kuno, interpretato da un brillante Suda Masaki, uno studente universitario di psicologia con una gran testa di capelli ricci, che sono un po’ il suo cruccio, e con una gran passione per il curry. Kuno ha una memoria prodigiosa, è intelligentissimo e ha capacità di osservazione fuori dal comune. L’insieme di queste qualità è perfetto per la risoluzione di misteri, ma lo rende anche un po’ distante dai suoi simili, in difficoltà nel relazionarsi con possibili amicizie o situazioni romantiche. La cosa sembra peggiorare ulteriormente quando vicino a casa sua viene scoperto il cadavere di un compagno, e tutti gli indizi sembrano puntare su di lui, ma… niente paura! I poliziotti non hanno idea di chi si siano messi in guardina, e il nostro ci metterà poco a scagionarsi e a risolvere brillantemente il mistero, elargendo, per buona misura, numerose perle di saggezza agli investigatori.
Da lì, sarà spesso chiamato in aiuto per risolvere circostanze ingarbugliate, quando non saranno proprio queste situazioni a venirlo a cercare, ovunque si trovi, perfino in ospedale! In realtà sembra che il povero Kuno abbia una calamita che attira invariabilmente matti, assassini e personaggi particolari, per cui si trova sempre in mezzo a situazioni misteriose e spesso pericolose, riuscendo sempre a trovare il bandolo della matassa.
La personalità di Totono Kuno ti prende a poco a poco. E’ un solitario anche perché può risultare molto respingente: col suo fare dimesso e in tono ingannevolmente piatto spara bordate ad alzo zero senza risparmiare nulla e nessuno. Le vicende presentate sono molto tristi e deprimenti, parlano di situazioni familiari insostenibili, di malattie, assassinii, serial killer. Come se non bastasse, il nostro sputa addosso al malcapitato di turno e quindi, per interposta persona, allo spettatore, un concentrato di amarissime verità. La cosa può diventare irritante e stucchevole, i primi episodi sono forse i più densi di queste situazioni, e devo dire che mi hanno disturbato un po’. Sarà la mia coda di paglia?
Alla fine, comunque, non si può fare a meno di lasciarsi stregare dall’involontario detective, di cui si intuisce un doloroso passato, al pari di quello di altri personaggi che ci vengono presentati. I vari casi che vengono risolti si rivelano pian piano per essere, in qualche modo, collegati in un affresco comune, e questa è una gran bella cosa. Meno piacevole è, invece, che le vicende procedano a volte “aiutate” da scempiaggini poco credibili o da casualità spicciole, coincidenze che solo in Dramaland possiamo vedere. In una occasione pare ci sia addirittura un accadimento paranormale e, a mio gusto personale, in una storia di questo tipo ci sta un po’ come i proverbiali cavoli a merenda.
La sceneggiatura è però per lo più abbastanza intelligente, ricca di colpi di scena, e non tutti prevedibili, con continue sorprese e molti rovesciamenti di fronte. Mai, come qui, si deve fare il verso a Labyrinth: tutto non è sempre come sembra. In tutta sincerità, bisogna però dire che la trama procede con molti cliché. Per esempio il genio un po’ strambo e magari dal triste passato, l’abbiamo già visto in tutte le salse, le persone che incontra che vengono in qualche modo “salvate” o che tramite lui imparano a guardare le cose sotto altri punti di vista, o a non mentire a se stesse, non sono propriamente nuove, e così via. La polizia, per quanto presente, non sembra essere particolarmente efficace e pare esistere solo per dare un’aura di ufficialità a certe situazioni che sarebbero altrimenti molto più incredibili di come sono presentate.
Ma si perdona quasi tutto perché questa serie ha un gioiello magico che le permette di superare ogni difficoltà: Suda Masaki. E’ la sua brillante interpretazione a reggere buona parte del drama, e a reggerla bene. Triste, perplesso, stupito, meravigliato, felice (normalmente, per essere riuscito finalmente a mangiare il suo curry, visto che viene sempre interrotto), senza dimenticare spietato, quando recapita i suoi numerosi colpi bassi verbali: in ogni circostanza la sua presenza sullo schermo basta a in-trattenere l’attenzione dello spettatore.
Quando dico che Suda Masaki è la colonna portante della serie, non bisogna però dimenticare che si tratta pur sempre di un’opera giapponese, con tutti i suoi peculiari manierismi. La recitazione è spesso plateale, i gesti sono esagerati, da parte di molti dei protagonisti. Assistiamo comunque ad un esperimento abbastanza riuscito di fusione tra gli elementi umoristici, che non sono mai eccessivi, con i numerosi elementi drammatici, anche sanguinosi.
Lo sbocciare dell’amicizia, o di qualcosa di più, con la misteriosa Raika (Kadowaki Mugi) così come il rapporto con l’impenetrabile Garo (Nagayama Eita), biondino che pare interessato a Kuno (e ricambiato?) in maniera forse più che amichevole, ci dà un assaggino di coinvolgimento romantico non molto sviluppato. Anche alla poliziotta Seiko (Ito Sairi) forse non dispiacerebbe conoscere un po’ meglio il piccolo genio ma… almeno in questa serie, non s’ha da fare.
Una colonna sonora gradevole sicuramente aiuta molto il coinvolgimento emotivo nelle vicende: Chameleon, dei King Gnu, si è ascoltata diverse volte con molto piacere, così come sono stati spesso azzeccati molti brani di musica classica.
In sunto una serie che, al netto di qualche colpo basso di troppo alla coscienza dello spettatore, e di qualche colpetto forse eccessivo per indirizzare la trama, riesce a mantenere alti l’interesse e la tensione fino in fondo. A patto, beninteso, di non farsi infastidire troppo dallo stile di recitazione giapponese. Bisogna farci l’occhio, ma ci si abitua in fretta.
La prima cosa da sapere, prima di visionare il titolo, è che il mistero principale non viene completamente chiarito: la scena finale ci dà a intendere che c’è un ulteriore strato di cipolla da pelare, per così dire. Apparentemente, il film Don't Call It Mystery: The Movie, etichettato come sequel e che si presume sarà disponibile nell’autunno 2023, non verterà su queste indagini. Il sunto disponibile non ne fa menzione e, soprattutto, su Mydramalist la lista degli attori, forse ancora parziale, per il momento non vede Nagayama Eita nel cast.
Ad ogni modo, i curiosi possono aspettare la pubblicazione in Italia del manga, che potrebbe arrivare presto. Incrociamo le dita. Rimanere in sospeso non è mai una bella cosa.
Protagonista assoluto del drama è Totono Kuno, interpretato da un brillante Suda Masaki, uno studente universitario di psicologia con una gran testa di capelli ricci, che sono un po’ il suo cruccio, e con una gran passione per il curry. Kuno ha una memoria prodigiosa, è intelligentissimo e ha capacità di osservazione fuori dal comune. L’insieme di queste qualità è perfetto per la risoluzione di misteri, ma lo rende anche un po’ distante dai suoi simili, in difficoltà nel relazionarsi con possibili amicizie o situazioni romantiche. La cosa sembra peggiorare ulteriormente quando vicino a casa sua viene scoperto il cadavere di un compagno, e tutti gli indizi sembrano puntare su di lui, ma… niente paura! I poliziotti non hanno idea di chi si siano messi in guardina, e il nostro ci metterà poco a scagionarsi e a risolvere brillantemente il mistero, elargendo, per buona misura, numerose perle di saggezza agli investigatori.
Da lì, sarà spesso chiamato in aiuto per risolvere circostanze ingarbugliate, quando non saranno proprio queste situazioni a venirlo a cercare, ovunque si trovi, perfino in ospedale! In realtà sembra che il povero Kuno abbia una calamita che attira invariabilmente matti, assassini e personaggi particolari, per cui si trova sempre in mezzo a situazioni misteriose e spesso pericolose, riuscendo sempre a trovare il bandolo della matassa.
La personalità di Totono Kuno ti prende a poco a poco. E’ un solitario anche perché può risultare molto respingente: col suo fare dimesso e in tono ingannevolmente piatto spara bordate ad alzo zero senza risparmiare nulla e nessuno. Le vicende presentate sono molto tristi e deprimenti, parlano di situazioni familiari insostenibili, di malattie, assassinii, serial killer. Come se non bastasse, il nostro sputa addosso al malcapitato di turno e quindi, per interposta persona, allo spettatore, un concentrato di amarissime verità. La cosa può diventare irritante e stucchevole, i primi episodi sono forse i più densi di queste situazioni, e devo dire che mi hanno disturbato un po’. Sarà la mia coda di paglia?
Alla fine, comunque, non si può fare a meno di lasciarsi stregare dall’involontario detective, di cui si intuisce un doloroso passato, al pari di quello di altri personaggi che ci vengono presentati. I vari casi che vengono risolti si rivelano pian piano per essere, in qualche modo, collegati in un affresco comune, e questa è una gran bella cosa. Meno piacevole è, invece, che le vicende procedano a volte “aiutate” da scempiaggini poco credibili o da casualità spicciole, coincidenze che solo in Dramaland possiamo vedere. In una occasione pare ci sia addirittura un accadimento paranormale e, a mio gusto personale, in una storia di questo tipo ci sta un po’ come i proverbiali cavoli a merenda.
La sceneggiatura è però per lo più abbastanza intelligente, ricca di colpi di scena, e non tutti prevedibili, con continue sorprese e molti rovesciamenti di fronte. Mai, come qui, si deve fare il verso a Labyrinth: tutto non è sempre come sembra. In tutta sincerità, bisogna però dire che la trama procede con molti cliché. Per esempio il genio un po’ strambo e magari dal triste passato, l’abbiamo già visto in tutte le salse, le persone che incontra che vengono in qualche modo “salvate” o che tramite lui imparano a guardare le cose sotto altri punti di vista, o a non mentire a se stesse, non sono propriamente nuove, e così via. La polizia, per quanto presente, non sembra essere particolarmente efficace e pare esistere solo per dare un’aura di ufficialità a certe situazioni che sarebbero altrimenti molto più incredibili di come sono presentate.
Ma si perdona quasi tutto perché questa serie ha un gioiello magico che le permette di superare ogni difficoltà: Suda Masaki. E’ la sua brillante interpretazione a reggere buona parte del drama, e a reggerla bene. Triste, perplesso, stupito, meravigliato, felice (normalmente, per essere riuscito finalmente a mangiare il suo curry, visto che viene sempre interrotto), senza dimenticare spietato, quando recapita i suoi numerosi colpi bassi verbali: in ogni circostanza la sua presenza sullo schermo basta a in-trattenere l’attenzione dello spettatore.
Quando dico che Suda Masaki è la colonna portante della serie, non bisogna però dimenticare che si tratta pur sempre di un’opera giapponese, con tutti i suoi peculiari manierismi. La recitazione è spesso plateale, i gesti sono esagerati, da parte di molti dei protagonisti. Assistiamo comunque ad un esperimento abbastanza riuscito di fusione tra gli elementi umoristici, che non sono mai eccessivi, con i numerosi elementi drammatici, anche sanguinosi.
Lo sbocciare dell’amicizia, o di qualcosa di più, con la misteriosa Raika (Kadowaki Mugi) così come il rapporto con l’impenetrabile Garo (Nagayama Eita), biondino che pare interessato a Kuno (e ricambiato?) in maniera forse più che amichevole, ci dà un assaggino di coinvolgimento romantico non molto sviluppato. Anche alla poliziotta Seiko (Ito Sairi) forse non dispiacerebbe conoscere un po’ meglio il piccolo genio ma… almeno in questa serie, non s’ha da fare.
Una colonna sonora gradevole sicuramente aiuta molto il coinvolgimento emotivo nelle vicende: Chameleon, dei King Gnu, si è ascoltata diverse volte con molto piacere, così come sono stati spesso azzeccati molti brani di musica classica.
In sunto una serie che, al netto di qualche colpo basso di troppo alla coscienza dello spettatore, e di qualche colpetto forse eccessivo per indirizzare la trama, riesce a mantenere alti l’interesse e la tensione fino in fondo. A patto, beninteso, di non farsi infastidire troppo dallo stile di recitazione giapponese. Bisogna farci l’occhio, ma ci si abitua in fretta.
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